Le recensioni della Rossa per Thriller Café: SANGUE SUL TEVERE di Sanvitale, Palmegiani, Mastronardi
Cari Amici della Rossa e della buona letteratura gialla,
la prima recensione del 2015 è riservata a Sangue sul Tevere di Fabio Sanvitale, Armando Palmegiani e Vincenzo Maria Mastronardi, un libro ricchissimo di spunti interessanti che tratta di tre casi molto particolari, aventi come elemento comune il depezzamento delle vittime.
Cesare Serviatti, il serial killer della valigia, e Vincenzo Teti, l’omicida dei coniugi Lovaglio, forse sono personaggi quasi sconosciuti ai più, mentre Pietro De Negri, “il canaro della Magliana”, ritengo sia per una figura ben viva nella mente di tutti i lettori.
Come ogni altra loro precedente opera, gli Autori compiono un excursus tecnico e giuridico di ciascun caso, secondo una formula vincente che ho così riassunto: “la cifra stilistica di S” + “il metodo di P” x “il valore assoluto di M” = Ottimo risultato! Cosa significa? Lo scoprirete meglio leggendo la recensione, pubblicata nella sezione True Crime di Thriller Café.
Vi confesso che ho impiegato molto tempo per raccogliere le idee e redigerla, perché affrontando la prima parte di Sangue sul Tevere, sono stata travolta dalla piena dei ricordi relativi a quel caso di cronaca sul quale avevo appuntato la mia attenzione fin da subito: l’omicidio “der puggile” da parte del “canaro” era avvenuto il giorno del mio compleanno, nella settimana festivaliera di Sanremo del 1988, e aveva acceso i riflettori sulla difficile realtà sociale della Magliana, quartiere abbastanza vicino a dove sono cresciuta.
Sanvitale è bravissimo nel delineare il tessuto sociale di quella zona di Roma, sviluppatasi subito a ridosso degli argini del Tevere, ma io ho faticato a riconoscere in quella tragica toponomastica, le strade dove abitavano alcuni compagni di liceo, a casa dei quali andavamo alle feste o a fare i compiti. Il periodo della nostra adolescenza è coinciso con gli Anni di Piombo e l’omicidio Moro, con il fiorire dei traffici della Banda della Magliana, con le lotte politiche accese del ’78, con la guerra delle Falkland e il regime di Videla, con l’attentato a Papa Wojtyla e i Lupi Grigi. Pensavamo forse di essere usciti indenni da tutto questo quando l’omicidio del Canaro ha fatto irruzione nella cronaca romana.
Ricordi a parte, e tornando al libro, a dicembre scorso avevo avuto il piacere di partecipare alla presentazione di Sangue sul Tevere a Più Libri Più Liberi, alla fine della quale il professor Mastronardi aveva letto la poesia L’assolto di Palazzeschi, in relazione al fatto che Pietro De Negri, tra una fase e l’altra del processo, fu rimesso in libertà per un breve periodo. Cosa avrà pensato realmente De Negri incrociando gli sguardi degli abitanti di “Portuense bassa” non c’é dato sapere, ma la lirica di Palazzeschi – secondo il Professore – potrebbe essere interpretativa del suo stato d’animo in quel momento.
Gironzolando sul web ho scovato una lettura del grande Vittorio Gassman , che vi offro con molto piacere.
Buona lettura (e ascolto!) sempre a tutti dalla Rossa!
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L’ASSOLTO di Aldo Palazzeschi
Allor che i miei buoni fratelli m’avevan due volte sepolto,
disse una voce: (io non so come e dove)
“Assolto. Mancanza assoluta di prove”.
Si apersero tutte le porte, si apersero tutti i cancelli.
“Assolto!” Io sono “l’assolto” miei cari signori, e ora che sono fuori guardatemi bene in viso: ho ucciso?
“Assolto!”
È la mia professione, che intendo bene di sfruttare dal suo lato migliore.
“Assolto!”
Appena uscito mi accorsi subito qual era il miglior partito.
Fuggire? Nascondersi agli occhi della gente? Macché!
Sottrarsi alla sconcezza del dubbio ch’io rivesto? Macché!
Rivestirlo dignitosamente o con disinvoltura? Macché! Niente, niente!
Esibirsi, senza misura, generosamente.
Gli è perciò ch’io frequento le strade, il passeggio, i teatri, il caffè, come ogn’altr’uom non assolto: certe volte mi diverto poco… certe altre molto… né più né meno di lui o di te.
Si sa che color che incontrandomi intrecciavan col mio bei sorrisi, vedeste ora che visi…
che visi mi fanno!
E che voci sorprendo dai crocchi! Vedeste che occhi!
- Un innocente si scolpa.
- E un farabutto lo stesso.
- Ha taciuto, ecco tutto.
- Ha taciuto come un innocente.
- Ha taciuto come un farabutto!
- E gli errori?
- Questi sono gli errori, i delinquenti sono tutti fuori!
Entro per tempo in teatro, prendo possesso della mia poltrona con molto sussiego.
Mi volgo, mi chino, mi spiego; mi lascio ammirar giro giro con aria da Dio.
E se certi visi si spostano resta inflessibile il mio.
Per i primi venti minuti lo spettacolo lo do io. “Bella che stai puntandomi attraverso la lente dell’occhialino, dimmi, mio bel musino, mi desideri innocente, o mi desideri assassino?”
Un signore là indietro, dai posti distinti, macina lesto fra i denti: “sul trono, sul trono i briganti!”
E un altro: “guardate che ghigna stasera, facciaccia da galera!”
Quando s’alza il sipario divento anch’io un umile spettatore, come lui, negli antratti ritorno un poco attore, eppoi ancora spettatore come te, come tutti gli altri.
E se dopo all’uscita qualcuno mi aspetta, io esco pian pianino senza nessuna fretta.
Poi vado al caffè. Finché c’è gente sveglia nella città resto a sua disposizione, nessuno dev’essere defraudato nella legittima curiosità, sono un galantuomo nella mia professione.
E non crediate ch’io sia tardivo ad escir fuori al mattino, macché! bisogna pensare che il mattiniero ha gli stessi diritti del nottambulo cittadino.
“Assolto!” Può sembrar poco… e può sembrar di molto.
Guardatemi bene in viso: ho ucciso?