La recensione della Rossa per Thriller Café: L’IMPRONTA DELLA VOLPE di Moussa Konaté
“- Lei mi dice che dei ragazzi muoiono a Pigui e che questo la stupisce. Vorrebbe sapere perché muoiono. La mia prima risposta al suo interrogativo è questa: qualunque sia la sua intelligenza, l’uomo non sarà mai Dio. La morte è cosa di Dio. – Secondo lei, i ragazzi che sono morti sono stati fedeli al precetto del vostro Antenato Lèbè? – chiese Habib. – Chi sono io per osare dare un giudizio su un mortale? Non sono che io stesso un mortale.” (pag. 157)
SOTTOLINEATO perché… è magistrale esempio di depistaggio “filosofico”!
“Non ci volle molto tempo perché i poliziotti trovassero il pendio alla cui fine il Gatto compieva la sua divinazione” (pag. 144)
CASSATO perché… quel “compieva” è talmente desueto che m’ha fatto fare un salto sulla sedia! Avrei di gran lunga preferito “compiva”, ma riconosco che il periodo di stabilizzazione di una forma lessicale in cambiamento deve necessariamente soggiacere a fasi di alterno uso.
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Cari Amici della Rossa e della letteratura gialla,
la temperatura di questo autunno già tiepido è aumentata al Thriller Cafe per l’arrivo di una folata di vento sub-sahariano.
Dal Mali giunge, per mano di Del Vecchio Editore, la traduzione di un libro molto bello dello scrittore Moussa Konaté.
L’impronta della volpe è un poliziesco ambientato nelle terre del popolo Dogon, lungo le falesie di Bandiagara: un lembo di terra nel cuore dell’Africa ancora oggi abitato da un popolo che conserva riti e usanze ancestrali.
Ma a guardar bene l’intreccio poliziesco è solo l’escamotage usato da Konaté per farci affacciare sul crinale dell’abisso che separa tradizione e progresso, antica sapienza e scienza, arretratezza e civilizzazione, onore e disonore. Il Commissario Habib - con un piglio alla Maigret – cercherà di gettare un ponte su quell’abisso e, a mio parere, ci riuscirà mirabilmente.
Questo libro mi ha davvero colpita per tantissimi aspetti, primo fra tutti la profondità delle metafore usate per i dialoghi tra il protagonista e i Dogon; una profondità che riconosco come africana tout court e che mi avvicina al cuore i miei amici africani sparsi per il mondo. E’ stato un pò come se avessi potuto riabbracciare Melese, Zufan, Rufino o il mio figlioccio Kasaun: per il loro tramite, l’ancestrale saggezza dei loro popoli d’origine continua ad illuminare il mondo più “civilizzato”.
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