Le recensioni della Rossa per Thriller Café: Un fratello per cui morire di Roslund e Thunberg
Cari Amici della Rossa e della buona letteratura gialla,
la recensione che da oggi appare su Thriller Café riguarda un thriller molto intrigante degli autori svedesi Anders Roslund e Stefan Thunberg, giornalista investigativo, il primo, grande sceneggiatore cinematografico, il secondo.
Un fratello per cui morire è la storia intrecciata di due coppie di fratelli molto singolari: un galeotto e un poliziotto, un galeotto e un ex galeotto.
I quattro personaggi saranno i perni sui quali si svolge l’azione che riguarda la preparazione di una rapina fantasmagorica, compiuta all’interno del caveu della Polizia di Stoccolma di un ingente quantitativo di banconote, prove di reato ai danni di uno dei due rapinatori, e estinate al macero.
Bello, rocambolesco, intenso e cinematografico (i diritti sono già stati acquistati da Netflix).
Ma cosa rende così particolare questo thriller?
E’ indubbio che un romanzo vada valutato sia per come è scritto sia per cosa propone: la poetica e la tematica dell’autore, direbbero quelli bravi. Ebbene, quando ho iniziato a leggere questo romanzo mi sono lasciata trasportare solo dalla scrittura e da come sapeva essere intrigante, creare suspance, maneggiare con cura i flashback e delineare con mano sicura i personaggi. Che trattasse della storia di un rapinatore di banche svedese e della sua problematica famiglia era interessante ma molto meno dello stile. Fino al giorno che ho riaperto il pdf e l’occhio mi è caduto sul sottotitolo “Made in Sweden 2″. Un sequel? Accidenti a me che non avevo letto il primo! Così ho interrotto la lettura e ho iniziato la ricerca.
Di colpo il Cosa è diventato spaventosamente importante!
Uno dei due autori, Stefan Thunberg, è uno dei fratelli dei famigerati Sumonja brothers che negli anni 90 misero a segno 10 colpi geniali ai danni di banche e portavalori in Svezia. Bottini favolosi e colpi rocamboleschi degni di 007!
Da quel momento ciò che leggevo ha preso corpo e in ogni frase e in ogni descrizione dei sentimenti dei protagonisti, ho intravvisto il travaglio emotivo dello scrittore nel mettere a nudo completamente i dolori che hanno attraversato la sua famiglia.
In un’intervista di qualche anno fa pubblicata da The Guardian, Stefan Thunberg ha dichiarato che, pur non essendo mai stato coinvolto nella vita criminosa della sua famiglia, gli sono occorsi due anni di terapia e tanto coraggio per mettere per iscritto il suo mondo familiare. Temeva inoltre che, pur avendo cambiato i nomi dei protagonisti, i fatti fossero stati talmente eclatanti da mettere in pericolo la nuova vita dei suoi familiari. Invece ricevette una telefonata sorprendente proprio dal fratello Carl, quello che più degli altri ha scontato anni di prigione: non solo aveva apprezzato il libro in sé ma plaudiva all’iniziativa del fratello.
Da questo punto di vista, i due romanzi-verità della serie Made in Sweden risultano oltremodo toccanti.
Buona lettura (sempre!) a tutti!